Rime petrose – la Recensione

Rime Petrose – Dante Alighieri

2014 – Mondadori

ISBN: 9788804640615

Visto che parliamo spesso di opere semisconosciute o, comunque, poco classiche, vediamo di continuare questo filone parlando di alcune delle opere meno conosciute del poeta più conosciuto d’Italia: il buon, vecchio Durante de’ li Alighieri, per gli amici Dante.

La cosa bella di Dante è che non ha bisogno di presentazioni: chi più e chi meno, tutti conosciamo il nostro nasuto e burbero poeta fiorentino. In effetti, le uniche presentazioni necessarie sono quelle delle sue Rime petrose, che sono piuttosto sicura siano abbastanza ignote ai più.

Ora arriva il pippone introduttivo, chiariamo che quando si parla delle Rime di Dante, si parla di una raccolta dei componimenti poetici di questo poeta esclusi da opere di più ampio respiro, come la Vita Nova e la Commedia (lasciamo da parte il controverso Fiore); va poi da sé che non faranno parte delle Rime nemmeno i testi in prosa, come il De Vulgari Eloquentia, il Convivio e il De Monarchia. Di conseguenza, le Rime sono raccolte e ordinate da editori, filologi e critici contemporanei, i quali però spesso includono anche le liriche della Vita Nova e le canzoni del Convivio, ordinando le opere in ordine cronologico. Insomma, è un po’ un casino, ma proveremo lo stesso a raccapezzarci.

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Noi ci baseremo sull’edizione commentata di Giunta

Se avete una certa conoscenza della letteratura dantesca, avrete già capito, più o meno, cosa troveremo nelle Rime: le poesie giovanili stilnovistiche, la tenzone con Forese Donati, le rime allegoriche e dottrinali, le Rime petrose e le varie poesie scritte durante l’esilio. Di conseguenza, noi qui commenteremo solo una parte molto specifica delle Rime dantesche: saranno anche poco note, ma le Rime petrose sono alcune delle mie opere preferite del caro Dante!

Ora, un’altra premessa è d’obbligo: stiamo parlando di “commento”, ma rendiamoci conto del fatto che ci sono grandissimi letterati che hanno commentato, nel secolo scorso, le opere di Dante, comprese le Rime petrose. Il nome di Gianfranco Contini dovrebbe essere sufficiente per dare l’idea di “grandissimi letterati”. Non pensate nemmeno per un secondo che io possa anche solo affiancarmi al livello di Contini e colleghi: non ne ho minimamente le competenze e non intendo assolutamente farlo.

Quindi, permettetemi solo di esternare alcune delle mie personali impressioni su alcune Rime petrose: niente grande critica letteraria, insomma, ma solo una recensioncina emotiva su cosa penso di queste opere e cosa ci insegnano sull’amore.

Iniziamo (finalmente!) questa recensione dando un altro pippone alcune informazioni di routine: le Rime petrose consistono in appena quattro componimenti, presumibilmente scritti poco prima dell’esilio di Dante, quindi tra il 1296 e il 1298 (ricordate che non abbiamo mai trovato originali danteschi!).

commedia
No, non abbiamo l’originale nemmeno della Commedia!

Queste poesie sono state sempre raggruppate insieme a causa di due caratteristiche principali: lo stile poetico estremamente difficile ed aspro, e il loro essere dedicate ad una donna di nome Petra, da cui deriva appunto il nome del gruppo.

Chi è Petra? Con tutta probabilità, nessuno. Anzi, molto probabilmente Petra è solo un’allegoria della filosofia, così dura e difficile che Dante ancora era troppo immaturo per comprenderla appieno. Da qui, sempre probabilmente, nasce la frustrazione del poeta, che si sente ignorato e respinto con sdegno, nonostante la sua passione tenace e violenta.

E qui arriviamo al cuore delle Rime petrose e al motivo che mi ha spinto a sceglierle: a differenza che nelle poesie della Vita Nova, infatti, qui ci troviamo davanti ad un Dante molto più viscerale ed esplicito nel suo “amore”. Che poi si fosse sentito autorizzato ad essere così grafico proprio perché si stava, in realtà, rivolgendo ad una donna metaforica poco importa, visto che Beatrice stessa è ben poco oltre ad un pretesto letterario, ad un ideale.

beatrice
Yep, Beatrice è soprattutto un’allegoria

Come al solito, quindi, dobbiamo leggere la poesia medievale in modo diverso, rispetto a come leggiamo la poesia più recente: certo, a volte i poeti medievali approfittano della poesia per esternare i loro pensieri più reconditi, ma in realtà spesso scrivevano in versi “solo” per dimostrare di saper imbrigliare la lingua al loro volere. In tal senso, la Rime petrose ne sono un esempio lampante, visto che sono opere scritte in maniera molto difficile, seguendo lo stile del trobar clus: tipicamente provenzale, si tratta di un poetare difficile, che rende il significato molto oscuro grazie a complicatissimi meccanismi retorici.

Dante, qui, è esattamente questo: oscuro e difficile. Vediamo un po’ cosa significa nei fatti!

La prima rima petrosa è Io son venuto al punto de la rota: non si tratta di un sonetto breve e tranquillo, bensì di una canzone lunga ben 71 versi. Dopo una complessa descrizione della posizione di stelle e costellazioni, che Dante tanto amava, il poeta ammette che il passare del tempo non alleggerisce il peso del suo amore, tutto concentrato su una donna più dura della pietra.

e però non disgombra

un sol penser d’amore, ond’io son carco,

la mente mia, ch’è più dura che petra

in tener forte imagine di petra

Né lo aiuta l’arrivo dell’inverno, che dovrebbe congelare questo genere di pensieri. Tutto tace, tutto riposa e persino i fiori sono morti a causa della brina, ma il suo cuore è ancora trafitto dalla spina dell’amore.

e la crudele spina

però Amor di cor non la mi tragge;

per ch’io son fermo di portarla sempre

ch’io sarò in vita, s’io vivesse sempre.

Ma non è certo un caso, visto che Dante ammette candidamente di essere disposto a portare questa spina per sempre, perché alla fine gli piace star male e spera solo che la primavera sciolga il cuore di Petra. Altrimenti, anche il poeta si pietrificherà, morendo.

e io de la mia guerra

non son però tornato un passo a retro,

né vo’ tornar; ché se ’l martiro è dolce,

la morte de’ passare ogni altro dolce.

Insomma, tanta gioia. Ecco a voi un Dante particolarmente emo, che però approfitta della sua situazione per fare decine di paragoni naturalistici, pavoneggiandosi in maniera assolutamente svergognata su quanto sia bravo a descrivere cose difficili. Perché è effettivamente molto bravo, bisogna concederglielo.

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Dante è molto emo. Fanart di PirateHearts

La seconda rima petrosa è Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra, una sestina. Ora, perché ci importa che sia una sestina? Ma perché le sestine sono uno dei componimenti più complicati che un poeta medievale potesse affrontare! Dante stesso ne scrive pochissime (mentre Petrarca ne scriverà moltissime proprio in spregio a Dante. Che simpaticone!), poiché le stanze della sestina, composte da sei versi, possono avere a fine verso sempre e solo le stesse sei parole. In questo caso, Dante sceglie ombra, colli, erba, verde, petra e donna. Ogni singola stanza della sestina finirà con una di queste parole, sebbene in combinazioni diverse. La difficoltà della sestina, quindi, sta nel dire qualcosa di non solo sensato, ma anche interessante usando solo sei parole-rima, quindi parlando di un argomento molto specifico in un ordine a sua volta molto specifico. Come potete immaginare, è un casino.

Ma Dante ci riesce, perché Dante è badass. E ci riesce descrivendo una donna bellissima, inghirlandata di verde e così luminosa da dissipare le ombre dei colli, ma nonostante ciò fredda e inamovibile nel suo rifiuto, alla quale comunque Dante non può scappare.

ch’io son fuggito per piani e per colli,

per potere scampar da cotal donna;

e dal suo lume non mi può far ombra

poggio né muro mai né fronda verde.

Ma come al solito, Dante continua a non essere esattamente la vittima della situazione, poiché cerca attivamente Petra e ne chiede l’amore disperatamente.

ond’io l’ho chesta in un bel prato d’erba

innamorata, com’anco fu donna,

e chiuso intorno d’altissimi colli.

sestina
Lo schema della sestina. Allucinante.

Ma passiamo a qualcosa di più caldo, ossia alla terza Rima petrosa, Amor, tu vedi ben che questa donna: in questo caso, abbiamo di fronte una canzone in cui Dante si lascia andare all’abuso di rime identiche, ossia in cui una parola rima con se stessa, venendo poi ripetuta e riutilizzata tantissimo durante tutto il componimento. In questo caso, il poeta ha decisamente abusato di donna, petra, e freddo, riproponendoli per tutta la poesia in maniera martellante, insistendo tantissimo sulla freddezza di Petra. Ma questa disperazione non dura e, alla fine, si attenua e viene timidamente sostituita dalla speranza di essere ricambiato.

In generale, qui Dante sembra particolarmente amareggiato, tanto con Petra, quanto con se stesso: se prima si lamenta del fatto che questa donna sembra scolpita nel marmo, poi comunque ribadisce come anche lui sia costante come la pietra nel seguirla.

mi fa sembiante pur come una donna

che fosse fatta d’una bella petra

per man di quei che me’ intagliasse in petra.

E io, che son costante più che petra

in ubidirti per bieltà di donna,

E le è costante nonostante i pericoli! Perché non c’è nulla che può salvarlo dal colpo mortale di questa ferita amorosa, sebbene gli sembri che il suo cuore si sia già tramutato in pietra.

sì ch’ella non mi meni col suo freddo

colà dov’io sarò di morte freddo.

Ma non importa, perché poi Dante si ricorda di quanto Petra sia importante per lui, di quanto riesca, nonostante tutto, a farlo star bene.

Da li occhi suoi mi ven la dolce luce

che mi fa non caler d’ogn’altra donna

dante sad
Sad Dante is sad 😦

Le Rime petrose, quindi, si concludono con il loro componimento più famoso: Così nel mio parlar voglio essere aspro, un’altra canzone in cui Dante si sfoga in tutta la sua, appunto, asprezza. Non usa mezzi termini, non si pone come un cane bastonato, ma come una persona profondamente ferita che sì è ancora innamorata, ma che alla fine sbotta per i rifiuti subiti. Quindi, così come Petra è stata aspra, anche Dante è aspro e ripaga la violenza con altra violenza, esprimendosi con tutta una terminologia basata su suoni stridenti.

In tutto ciò, però, Dante non si pone come il buono della situazione, ma come l’antagonista, e addirittura come un antagonista indifeso contro i colpi dell’avversaria!

sì ch’io non so da lei né posso atarme.

Non trovo scudo ch’ella non mi spezzi

né loco che dal suo viso m’asconda;

Il poeta quindi si ritrova a lottare e a perdere contro Petra e contro Amore, che lo pugnalano in continuazione. Ma, alla fine, Dante si chiede perché Amore non possa accanirsi così tanto anche contro la donna, perché questo dolore debba essere così a senso unico; anche perché, se Petra finisse a sua volta nel nero abisso della disperazione, allora Dante potrebbe salvarla prendendola per quelle trecce con cui lei lo aveva scudisciato. E, a quel punto, forse a Petra la cosa piacerebbe persino e si convincerebbe ad arrendersi.

ché tosto griderei: Io vi soccorro”.

e fare’l volentier, sì come quelli

che ne’ biondi capelli

ch’Amor per consumarmi increspa e dora

metterei mano, e piacere’le allora.

dante friendzone
Dante e l’amore per le sue donne letterarie: a senso unico

Insomma, versi particolari e particolarmente espliciti per Dante, in queste Rime petrose! Personalmente, non posso non rivedere in questa vicenda fantastica quel tipo di perseveranza violenta che certi partner (mica solo uomini) mettono in atto verso l’oggetto del loro amore: come li si può rifiutare, se sono così innamorati? È assolutamente inconcepibile e significa che l’altro è sicuramente una persona senza cuore, crudele e insensibile. Quindi lo si deve convincere, prima con le buone e poi, se proprio si deve, con le cattive.

In tal senso, se le Rime petrose non fossero dedicate all’allegoria della filosofia, rivelandosi quindi come lo sfogo della frustrazione dello studente nei confronti di una materia ostica, sarebbero anche abbastanza disturbanti. Presenterebbero Dante come l’uomo nell’eterna friendzone (come se non lo rappresentassero così abbastanza spesso, poi!) che alla fine esplode e se la prende con la donna “amata” o, per meglio dire, con l’oggetto della sua frustrazione. Non abbiamo idea di come fosse caratterialmente Dante, né se fosse felice con sua moglie (perché sì, era sposato e con figli!), e nemmeno dovremmo fare supposizioni basandoci sulla sua poesia. Tuttavia, ciò non ci impedisce di riflettere sulle tematiche che questo poeta tratta.

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Una spiegazione veloce su quanto sia stupida la friendzone

È anche per questo che ho scelto le Rime petrose per il mese di febbraio: perché non tutti i tipi di amore sono sani e dobbiamo distinguere non solo per chi vale la pena spendere tempo ed energie, ma anche da quali innamorati ci dobbiamo guardare. Ovviamente, ripeto, non possiamo dire assolutamente nulla su Dante come innamorato, visto che tutto ciò che scrive vive in un’aura di artificio artistico e tutte le sue donne sono allegorie, ma è interessante notare come certe dinamiche siano sempre esistite, sebbene potessero essere giudicate in maniera differente.

Comunque, le Rime petrose ci presentano un Dante Alighieri veramente inedito, come lo si vede solo in alcuni passi dell’Inferno: viscerale ed estremamente umano. Io, personalmente, non riesco a compatire il suo se stesso letterario, ma adoro il poeta che riesce a rendere vivi sentimenti così complessi. Qui, vediamo con Dante l’esperienza del rifiuto ed è straordinario ritrovare le stesse situazioni di oggi in una serie di poesie di fine Duecento.

Forse, sono anche queste le sue poesie che dovrebbero essere fatte leggere a scuola, sebbene con tutte le precisazioni del caso.

Voto: 9/10

Gloria Comandini

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